lunedì 18 aprile 2016

Nuovo report della DCL/CIDM per il 2016: tendenze nella Comunicazione Tecnica (seconda parte)

Ecco la seconda parte (qui la prima parte) delle mie impressioni sul sondaggio condotto da DCL/CIDM per tracciare le tendenze nella Comunicazione Tecnica per il 2016.

Q12: inizia a farsi strada la capacità di raccogliere feedback dai clienti, che possono esprimere annotazioni sulla documentazione dei prodotti acquistati. Le aziende più accorte possono cogliere questa opportunità per "usare" i propri clienti come "tester" della propria documentazione. Complicato? Non mi pare: basta mettere la propria documentazione sul web e, ad esempio, collegare ad essa un account Twitter che il cliente può usare per fornire il proprio sintetico contributo su ogni singola pagina esposta.

Q14 e Q15: circa il 40% dei partecipanti al sondaggio sostiene di essere pronto, nei prossimi 2 anni, per supportare il proprio business con strumenti e metodologie digitali. Se pensate di far parte del restante 60%, forse vi conviene ragionare su queste nuove possibilità. 
E vi viene in aiuto il quesito Q15, dove emergono i motivi per i quali può essere difficile abbracciare la nuova via. Per esperienza, vi assicuro che la distanza che intercorre tra un'oggettiva difficoltà ed un facile alibi è molto esigua. Ma la difficoltà principale è di ordine "spirituale" o se preferite "sistemico": siamo spesso convinti di "poter decidere" indipendentemente dalla direzione in cui si muove "il mercato", mentre semplicemente non è così. Se la gran parte dei miei concorrenti si muove in una certa direzione, diversa dalla mia, o io sono il più furbo di tutti o forse sono il più fesso.

Q17: qui vengono elencate alcune contraddizioni tra quello che viene realizzato e quello che magari vi chiedono i clienti o le soluzioni che si dovrebbero indirizzare e che invece non vengono adottate perchè non si dispone della necessaria conoscenza. E' interessante notare come il 33% ammetta di non essere in grado di lavorare efficacemente con i metadati, mentre il 22% si ostina a produrre documentazione solo testuale, mentre i clienti chiedono, ad esempio, video.

Q18: questo risultato è uno dei più interessanti del sondaggio, perchè a mio avviso quello che interessa ai miei clienti dovrebbe essere il mio primo interesse. Ed emergono con prepotenza tre numeri: il 52% richiede video per facilitare i processi di apprendimento, il 44% richiede documentazione mobile e il 36% richiede Help on Line integrati nelle applicazioni.

Q19: qui potete trovare le principali motivazioni che ostacolano le aziende nell'incontrare le necessità dei loro client (vedi anche Q22). E' una bella chek-list che potete prendere in prestito ed usarla per "misurare" la vostra situazione. Qui emergono due principali carenze: carenza di risorse e carenza di conoscenza. La prima carenza è spesso un'alibi (e qui riprendo le considerazioni fatte in Q14), la seconda è spesso una tragica realtà, da cui deriva la necessità della formazione.

Q20: questo, come Q18, è un altro passaggio critico, dove emerge una forte polarizzazione.
Sono molte le aziende (circa il 45%) che decidono di sviluppare la documentazione dei propri prodotti in casa. Mentre solo il 6% si affida a servizi di documentazione esterna. 

Tempi grami per gli outsourcer? Questa polarizzazione va spiegata.

Soprattutto nel campo del software, ma non solo, le parole d'ordine più comuni sono (e lo saranno sempre di più nei prossimi 5 anni): Agile, Continous Delivery, DevOps, Integration, Cloud. 

Ma, in soldoni, che significa? 
Significa che prodotti sempre più sofisticati e integrati in sistemi sempre più complessi, secondo processi produttivi che seguono cicli sempre più brevi, richiedono che la documentazione del prodotto venga realizzata ALL'INTERNO e DURANTE il ciclo di progettazione e di sviluppo del prodotto E NON A VALLE del medesimo.
Se la documentazione la devo fare ALL'INTERNO e DURANTE il ciclo di progettazione e di sviluppo del prodotto, devo disporre di professionalità elevate e specializzate in quelle tecnologie DENTRO al gruppo di lavoro. 

In quest'ottica, i tradizionali servizi di outsourcing rischiano di rimanere progressivamente tagliati fuori. 

E' interessante notare che almeno il 41% degi interrogati afferma di prendere in considerazione un approccio ibrido, sviluppando alcune cose in casa ed affidando altri processi in outsourcing, ma questa sembra una soluzione per meglio gestire la "transizione" verso uno svluppo 100% "in house".

Già immagino obiezioni del tipo: 
"Si, ma questo è vero solo per il software, non per le macchine"
"Si, ma questo magari è vero per gli USA, non per l'Italia".
Sono obiezioni di sicuro valide, nel breve periodo.

Ma se fossi un outsourcer mi chiederei quale scenario dovrò affrontare fra 3 o 4 anni.

Q22: qui c'è l'elenco degli "stimoli", cioè di quei fattori in presenza dei quali gli intervistati sarebbero diponibili a far evolvere il loro processo produttivo. Anche questa sembra una check-list da usare per misurare la propria predisposizione a fare "un salto in avanti".

E qui potete scaricare l'intera infografica, per rileggerla con calma.

Che ne pensate?



 

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